Come è noto a tutti è oramai prossima la somministrazione generalizzata della vaccinazione a tutta la popolazione, nel rispetto delle sequenze temporali che verranno progressivamente definite in relazione alle classi di età e alle vulnerabilità personali che risultano maggiormente esposte al rischio di contagio originato dal virus CoViD-19.
La problematica investe anche il mondo del lavoro e, legittimamente, i lavoratori si interrogano circa i comportamenti che saranno chiamati a tenere nel momento nel quale verranno interpellati al riguardo.
Le incertezze relative alle scelte da operare comunque serpeggiano e spesso, almeno in questa fase ancora interlocutoria, non vengono manifestate apertamente e restano sottotraccia.
Le ipotesi che vengono formulate circa la materializzazione dei dubbi, fanno ipotizzare atteggiamenti che spaziano dalla tranquilla attesa del momento della somministrazione, al timore, più o meno fondato, di incorrere in sanzioni che potrebbero tradursi in azioni penalizzanti da parte del datore di lavoro che si immagina potrebbe giungere al licenziamento in caso di rifiuto a sottoporsi alla vaccinazione.
Il dibattito che ne deriva, deve tener conto del contesto nel quale si sviluppa che non può escludere, o quantomeno considerare, i rapporti contrattuali in essere tra datore di lavoro e lavoratore e le conseguenti rispettive posizioni che sono configgenti; c’è chi sostiene la legittimità variamente individuata di un potere datoriale di reazione al rifiuto del lavoratore (licenziamento, sospensione non retribuita, aspettativa, cambiamento di mansione o forme di lavoro intelligente) e chi questo potere non lo ritiene legittimo.
Un contributo ad una prima presa di consapevolezza, può essere dato analizzando gli elementi che vengono di seguito considerati.
Innanzitutto è opportuno richiamare l’articolo 32 della Costituzione che sancisce la libertà di rifiutare qualsiasi trattamento sanitario, ivi comprese le vaccinazioni, salvo quello per il quale la legge istituisca un obbligo e rammentare che l’ordinamento giuridico dello Stato è ricco di casi di vaccinazioni rese obbligatorie per singole categorie o per tutta la popolazione che spaziano da quella contro la difterite del 1939 per giungere a quella del 2017 relativa al tetano; tra le due date, solo per menzionarne alcune, troviamo le vaccinazioni contro la poliomielite, l’epatite, la tubercolosi, la pertosse, il morbillo, la varicella.
Come si nota, tra le tipologie vaccinali antiepidemiche citate, non è presente quella anti CoViD-19 perché la stessa ha iniziato ad essere prodotto su larga scala solamente a fine 2020; occorre quindi chiedersi se, nell’attuale quadro normativo, in assenza di una legge che la renda obbligatoria, sia consentito a un imprenditore chiedere ai propri dipendenti che abbiano l’effettiva possibilità di sottoporvisi senza violare il citato articolo della Costituzione, la relativa vaccinazione da intendersi come misura di sicurezza.
Deve altresì essere considerata come non veritiera l’immagine che i diritti assoluti della persona siano da considerare invariabilmente sottratti all’autonomia negoziale della persona stessa; infatti lo sono sicuramente l’integrità fisica della persona (con l’eccezione delle donazioni di organi) ma per larga parte di essi, la persona li compie esercitando proprie valutazioni (la riservatezza, l’immagine, l’inviolabilità del domicilio) che l’ordinamento attribuisce a ogni singola persona.
Il contratto di lavoro costituisce un esempio evidente di diritti personali che limitano la libertà di movimento del lavoratore (orari di lavoro), ma anche di essere sottoposto a indagini sulle attitudini e sui precedenti professionali, a visite mediche domiciliari dal servizio ispettivo competente, e situazioni omogenee.
Analogamente il lavoratore, sottoscrivendo il rapporto di lavoro che richiama l’accettazione del contratto, acconsente che, pur in assenza di norme legislative specifiche, gli possa essere chiesto di vaccinarsi perché il contratto impone di rispettare le direttive impartite dal datore di lavoro quali misure di protezione, se rispondenti al requisito della ragionevolezza.
Occorre a questo punto chiamare in causa alcuni aspetti che disciplinano il contratto lavorativo; più precisamente gli aspetti che coinvolgono e impegnano entrambi i contraenti (datore di lavoro e prestatore di lavoro) a realizzare, ciascuno per il proprio ruolo, le condizioni di massima sicurezza e igiene in azienda a beneficio di tutti coloro che in essa lavorano e un aspetto di carattere puntuale, riferito all’eventuale necessità di una vaccinazione.
Occorre infine chiarire l’affermazione secondo cui l’autonomia negoziale privata può disporre di diritti della persona protetti da una riserva di legge.
L’articolo 2087 del Codice Civile obbliga l’imprenditore ad adottare “le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro” da cui consegue la necessità di comprendere se, in un ambiente lavorativo, sia esso fabbrica o ufficio, nel quale tutti vengono vaccinati (nella fattispecie quale iniziativa di prevenzione contro il CoViD-19), si realizzano condizioni di sicurezza contro il rischio dell’infezione apprezzabilmente maggiore, rispetto all’analogo ambiente nel quale una parte dei dipendenti non sia vaccinata.
La scienza medica avvalora questa indicazione e l’imprenditore, dopo la valutazione del rischio specifico presente nella sua azienda, può chiedere a tutti i dipendenti la vaccinazione dove questa sia per essi concretamente possibile.
I lavoratori, alla richiesta di un certificato di vaccinazione, non potranno opporre il divieto di indagini di cui all’articolo 8 dello Statuto dei lavoratori, dal momento che l’essersi sottoposti alla misura protettiva diventa, per effetto del rapporto contrattuale di lavoro, un dato rilevante circa la loro prontezza ad adempiere correttamente.
Questo modo di attuazione da parte dell’imprenditore del programma contrattuale potrebbe essere escluso se esso si ponesse in contrasto con norme di ordine pubblico, o fosse comunque funzionale a interessi non meritevoli di tutela nell’ordinamento; ma nelle circostanze di che trattasi esso invece si pone perfettamente in linea con le direttive generali di sanità pubblica condivise dalla comunità scientifica, dal Governo e dalle autorità sanitarie competenti: si tratta dunque di una modalità di attuazione del rapporto contrattuale ragionevole e come tale meritevole di tutela nell’ordinamento.
Come è noto a tutti è oramai prossima la somministrazione generalizzata della vaccinazione a tutta la popolazione, nel rispetto delle sequenze temporali che verranno progressivamente definite in relazione alle classi di età e alle vulnerabilità personali che risultano maggiormente esposte al rischio di contagio originato dal virus CoViD-19.
La problematica investe anche il mondo del lavoro e, legittimamente, i lavoratori si interrogano circa i comportamenti che saranno chiamati a tenere nel momento nel quale verranno interpellati al riguardo.
Le incertezze relative alle scelte da operare comunque serpeggiano e spesso, almeno in questa fase ancora interlocutoria, non vengono manifestate apertamente e restano sottotraccia.
Le ipotesi che vengono formulate circa la materializzazione dei dubbi, fanno ipotizzare atteggiamenti che spaziano dalla tranquilla attesa del momento della somministrazione, al timore, più o meno fondato, di incorrere in sanzioni che potrebbero tradursi in azioni penalizzanti da parte del datore di lavoro che si immagina potrebbe giungere al licenziamento in caso di rifiuto a sottoporsi alla vaccinazione.
Il dibattito che ne deriva, deve tener conto del contesto nel quale si sviluppa che non può escludere, o quantomeno considerare, i rapporti contrattuali in essere tra datore di lavoro e lavoratore e le conseguenti rispettive posizioni che sono configgenti; c’è chi sostiene la legittimità variamente individuata di un potere datoriale di reazione al rifiuto del lavoratore (licenziamento, sospensione non retribuita, aspettativa, cambiamento di mansione o forme di lavoro intelligente) e chi questo potere non lo ritiene legittimo.
Un contributo ad una prima presa di consapevolezza, può essere dato analizzando gli elementi che vengono di seguito considerati.
Innanzitutto è opportuno richiamare l’articolo 32 della Costituzione che sancisce la libertà di rifiutare qualsiasi trattamento sanitario, ivi comprese le vaccinazioni, salvo quello per il quale la legge istituisca un obbligo e rammentare che l’ordinamento giuridico dello Stato è ricco di casi di vaccinazioni rese obbligatorie per singole categorie o per tutta la popolazione che spaziano da quella contro la difterite del 1939 per giungere a quella del 2017 relativa al tetano; tra le due date, solo per menzionarne alcune, troviamo le vaccinazioni contro la poliomielite, l’epatite, la tubercolosi, la pertosse, il morbillo, la varicella.
Come si nota, tra le tipologie vaccinali antiepidemiche citate, non è presente quella anti CoViD-19 perché la stessa ha iniziato ad essere prodotto su larga scala solamente a fine 2020; occorre quindi chiedersi se, nell’attuale quadro normativo, in assenza di una legge che la renda obbligatoria, sia consentito a un imprenditore chiedere ai propri dipendenti che abbiano l’effettiva possibilità di sottoporvisi senza violare il citato articolo della Costituzione, la relativa vaccinazione da intendersi come misura di sicurezza.
Deve altresì essere considerata come non veritiera l’immagine che i diritti assoluti della persona siano da considerare invariabilmente sottratti all’autonomia negoziale della persona stessa; infatti lo sono sicuramente l’integrità fisica della persona (con l’eccezione delle donazioni di organi) ma per larga parte di essi, la persona li compie esercitando proprie valutazioni (la riservatezza, l’immagine, l’inviolabilità del domicilio) che l’ordinamento attribuisce a ogni singola persona.
Il contratto di lavoro costituisce un esempio evidente di diritti personali che limitano la libertà di movimento del lavoratore (orari di lavoro), ma anche di essere sottoposto a indagini sulle attitudini e sui precedenti professionali, a visite mediche domiciliari dal servizio ispettivo competente, e situazioni omogenee.
Analogamente il lavoratore, sottoscrivendo il rapporto di lavoro che richiama l’accettazione del contratto, acconsente che, pur in assenza di norme legislative specifiche, gli possa essere chiesto di vaccinarsi perché il contratto impone di rispettare le direttive impartite dal datore di lavoro quali misure di protezione, se rispondenti al requisito della ragionevolezza.
Occorre a questo punto chiamare in causa alcuni aspetti che disciplinano il contratto lavorativo; più precisamente gli aspetti che coinvolgono e impegnano entrambi i contraenti (datore di lavoro e prestatore di lavoro) a realizzare, ciascuno per il proprio ruolo, le condizioni di massima sicurezza e igiene in azienda a beneficio di tutti coloro che in essa lavorano e un aspetto di carattere puntuale, riferito all’eventuale necessità di una vaccinazione.
Occorre infine chiarire l’affermazione secondo cui l’autonomia negoziale privata può disporre di diritti della persona protetti da una riserva di legge.
L’articolo 2087 del Codice Civile obbliga l’imprenditore ad adottare “le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro” da cui consegue la necessità di co
Come è noto a tutti è oramai prossima la somministrazione generalizzata della vaccinazione a tutta la popolazione, nel rispetto delle sequenze temporali che verranno progressivamente definite in relazione alle classi di età e alle vulnerabilità personali che risultano maggiormente esposte al rischio di contagio originato dal virus CoViD-19.
La problematica investe anche il mondo del lavoro e, legittimamente, i lavoratori si interrogano circa i comportamenti che saranno chiamati a tenere nel momento nel quale verranno interpellati al riguardo.
Le incertezze relative alle scelte da operare comunque serpeggiano e spesso, almeno in questa fase ancora interlocutoria, non vengono manifestate apertamente e restano sottotraccia.
Le ipotesi che vengono formulate circa la materializzazione dei dubbi, fanno ipotizzare atteggiamenti che spaziano dalla tranquilla attesa del momento della somministrazione, al timore, più o meno fondato, di incorrere in sanzioni che potrebbero tradursi in azioni penalizzanti da parte del datore di lavoro che si immagina potrebbe giungere al licenziamento in caso di rifiuto a sottoporsi alla vaccinazione.
Il dibattito che ne deriva, deve tener conto del contesto nel quale si sviluppa che non può escludere, o quantomeno considerare, i rapporti contrattuali in essere tra datore di lavoro e lavoratore e le conseguenti rispettive posizioni che sono configgenti; c’è chi sostiene la legittimità variamente individuata di un potere datoriale di reazione al rifiuto del lavoratore (licenziamento, sospensione non retribuita, aspettativa, cambiamento di mansione o forme di lavoro intelligente) e chi questo potere non lo ritiene legittimo.
Un contributo ad una prima presa di consapevolezza, può essere dato analizzando gli elementi che vengono di seguito considerati.
Innanzitutto è opportuno richiamare l’articolo 32 della Costituzione che sancisce la libertà di rifiutare qualsiasi trattamento sanitario, ivi comprese le vaccinazioni, salvo quello per il quale la legge istituisca un obbligo e rammentare che l’ordinamento giuridico dello Stato è ricco di casi di vaccinazioni rese obbligatorie per singole categorie o per tutta la popolazione che spaziano da quella contro la difterite del 1939 per giungere a quella del 2017 relativa al tetano; tra le due date, solo per menzionarne alcune, troviamo le vaccinazioni contro la poliomielite, l’epatite, la tubercolosi, la pertosse, il morbillo, la varicella.
Come si nota, tra le tipologie vaccinali antiepidemiche citate, non è presente quella anti CoViD-19 perché la stessa ha iniziato ad essere prodotto su larga scala solamente a fine 2020; occorre quindi chiedersi se, nell’attuale quadro normativo, in assenza di una legge che la renda obbligatoria, sia consentito a un imprenditore chiedere ai propri dipendenti che abbiano l’effettiva possibilità di sottoporvisi senza violare il citato articolo della Costituzione, la relativa vaccinazione da intendersi come misura di sicurezza.
Deve altresì essere considerata come non veritiera l’immagine che i diritti assoluti della persona siano da considerare invariabilmente sottratti all’autonomia negoziale della persona stessa; infatti lo sono sicuramente l’integrità fisica della persona (con l’eccezione delle donazioni di organi) ma per larga parte di essi, la persona li compie esercitando proprie valutazioni (la riservatezza, l’immagine, l’inviolabilità del domicilio) che l’ordinamento attribuisce a ogni singola persona.
Il contratto di lavoro costituisce un esempio evidente di diritti personali che limitano la libertà di movimento del lavoratore (orari di lavoro), ma anche di essere sottoposto a indagini sulle attitudini e sui precedenti professionali, a visite mediche domiciliari dal servizio ispettivo competente, e situazioni omogenee.
Analogamente il lavoratore, sottoscrivendo il rapporto di lavoro che richiama l’accettazione del contratto, acconsente che, pur in assenza di norme legislative specifiche, gli possa essere chiesto di vaccinarsi perché il contratto impone di rispettare le direttive impartite dal datore di lavoro quali misure di protezione, se rispondenti al requisito della ragionevolezza.
Occorre a questo punto chiamare in causa alcuni aspetti che disciplinano il contratto lavorativo; più precisamente gli aspetti che coinvolgono e impegnano entrambi i contraenti (datore di lavoro e prestatore di lavoro) a realizzare, ciascuno per il proprio ruolo, le condizioni di massima sicurezza e igiene in azienda a beneficio di tutti coloro che in essa lavorano e un aspetto di carattere puntuale, riferito all’eventuale necessità di una vaccinazione.
Occorre infine chiarire l’affermazione secondo cui l’autonomia negoziale privata può disporre di diritti della persona protetti da una riserva di legge.
L’articolo 2087 del Codice Civile obbliga l’imprenditore ad adottare “le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro” da cui consegue la necessità di comprendere se, in un ambiente lavorativo, sia esso fabbrica o ufficio, nel quale tutti vengono vaccinati (nella fattispecie quale iniziativa di prevenzione contro il CoViD-19), si realizzano condizioni di sicurezza contro il rischio dell’infezione apprezzabilmente maggiore, rispetto all’analogo ambiente nel quale una parte dei dipendenti non sia vaccinata.
La scienza medica avvalora questa indicazione e l’imprenditore, dopo la valutazione del rischio specifico presente nella sua azienda, può chiedere a tutti i dipendenti la vaccinazione dove questa sia per essi concretamente possibile.
I lavoratori, alla richiesta di un certificato di vaccinazione, non potranno opporre il divieto di indagini di cui all’articolo 8 dello Statuto dei lavoratori, dal momento che l’essersi sottoposti alla misura protettiva diventa, per effetto del rapporto contrattuale di lavoro, un dato rilevante circa la loro prontezza ad adempiere correttamente.
Questo modo di attuazione da parte dell’imprenditore del programma contrattuale potrebbe essere escluso se esso si ponesse in contrasto con norme di ordine pubblico, o fosse comunque funzionale a interessi non meritevoli di tutela nell’ordinamento; ma nelle circostanze di che trattasi esso invece si pone perfettamente in linea con le direttive generali di sanità pubblica condivise dalla comunità scientifica, dal Governo e dalle autorità sanitarie competenti: si tratta dunque di una modalità di attuazione del rapporto contrattuale ragionevole e come tale meritevole di tutela nell’ordinamento.
prendere se, in un ambiente lavorativo, sia esso fabbrica o ufficio, nel quale tutti vengono vaccinati (nella fattispecie quale iniziativa di prevenzione contro il CoViD-19), si realizzano condizioni di sicurezza contro il rischio dell’infezione apprezzabilmente maggiore, rispetto all’analogo ambiente nel quale una parte dei dipendenti non sia vaccinata.
La scienza medica avvalora questa indicazione e l’imprenditore, dopo la valutazione del rischio specifico presente nella sua azienda, può chiedere a tutti i dipendenti la vaccinazione dove questa sia per essi concretamente possibile.
I lavoratori, alla richiesta di un certificato di vaccinazione, non potranno opporre il divieto di indagini di cui all’articolo 8 dello Statuto dei lavoratori, dal momento che l’essersi sottoposti alla misura protettiva diventa, per effetto del rapporto contrattuale di lavoro, un dato rilevante circa la loro prontezza ad adempiere correttamente.
Questo modo di attuazione da parte dell’imprenditore del programma contrattuale potrebbe essere escluso se esso si ponesse in contrasto con norme di ordine pubblico, o fosse comunque funzionale a interessi non meritevoli di tutela nell’ordinamento; ma nelle circostanze di che trattasi esso invece si pone perfettamente in linea con le direttive generali di sanità pubblica condivise dalla comunità scientifica, dal Governo e dalle autorità sanitarie competenti: si tratta dunque di una modalità di attuazione del rapporto contrattuale ragionevole e come tale meritevole di tutela nell’ordinamento.